IL FEUDO E LA SUA STORIA

Feudo Disisa: una storia che guarda al futuro

Una storia lunga oltre otto secoli che vede protagonisti i popoli del Mediterraneo, quelli del nord Europa, i cartaginesi, i romani, gli arabi e i normanni in un susseguirsi di incontri, scontri, dominazioni, culture e tradizioni.

Le origini di Feudo Disisa affondano le loro radici nell’ultima leggendaria dominazione: quella normanna. Siamo nel XII secolo, quando il Re di Sicilia Guglielmo II detto il buono, figlio di Guglielmo I il malo e Margherita di Navarra, salito al trono appena dodicenne fece un’opera di pacificazione con le città siciliane ostili alla corona. Feudo Disisa è un dono di Re Guglielmo all’Arcivescovo di Monreale affinché con i proventi ricavati si adoperasse per la costruzione del Duomo. Ed era un dono prezioso, di grande valore agronomico, tanto che il nome stesso del Feudo è una testimonianza diretta della straordinaria bellezza del luogo. Disisa deriva infatti dalla parola araba “Aziz”, che significa “la splendida”: un termine che era già utilizzato nel 1200 dagli emiri che venivano dal deserto per definire la città di Palermo e, in particolare, la bellezza della Conca d’Oro, con i suoi ricchi terreni coltivati, tra le vie d’acqua e gli inebrianti profumi delle erbe mediterranee, lungo palme e fontane disseminate nelle valli intorno al capoluogo siciliano.


Un antico atto bilingue – trascritto in arabo e in latino – testimonia che, dal 1182, la masseria Disisa era possedimento della Diocesi di Monreale. L’Arcivescovado la diede, poi, in enfiteusi ad una famiglia dell’aristocrazia palermitana, stabilendo rigide regole di conduzione e autorizzando la coltivazione della vigna, espressamente vietata nelle altre masserie della zona. Con l’abolizione dei privilegi feudali, che mise fine all’esercizio del potere temporale da parte dell’autorità ecclesiastica, nel 1867 il Feudo Disisa fu acquistato dall’arciprete Nicolò Di Lorenzo.


Da allora la storia di queste terre è strettamente legata alla famiglia Di Lorenzo che, sin da subito, ha individuato l’autentica vocazione agricola dei suoi terroir, utilizzando le tecnologie più avanzate per trasformare gli originali pascoli in vigneti ed uliveti rigogliosi. Una storia che continua ancora oggi, grazie all’impegno della nostra famiglia che, con la stessa cura artigianale di un tempo, ha dato un volto nuovo a Feudo Disisa.

Feudo Disisa: una storia che guarda al futuro

Una storia lunga oltre otto secoli che vede protagonisti i popoli del Mediterraneo, quelli del nord Europa, i cartaginesi, i romani, gli arabi e i normanni in un susseguirsi di incontri, scontri, dominazioni, culture e tradizioni.

Le origini di Feudo Disisa affondano le loro radici nell’ultima leggendaria dominazione: quella normanna. Siamo nel XII secolo, quando il Re di Sicilia Guglielmo II detto il buono, figlio di Guglielmo I il malo e Margherita di Navarra, salito al trono appena dodicenne fece un’opera di pacificazione con le città siciliane ostili alla corona. Feudo Disisa è un dono di Re Guglielmo all’Arcivescovo di Monreale affinché con i proventi ricavati si adoperasse per la costruzione del Duomo. Ed era un dono prezioso, di grande valore agronomico, tanto che il nome stesso del Feudo è una testimonianza diretta della straordinaria bellezza del luogo. Disisa deriva infatti dalla parola araba “Aziz”, che significa “la splendida”: un termine che era già utilizzato nel 1200 dagli emiri che venivano dal deserto per definire la città di Palermo e, in particolare, la bellezza della Conca d’Oro, con i suoi ricchi terreni coltivati, tra le vie d’acqua e gli inebrianti profumi delle erbe mediterranee, lungo palme e fontane disseminate nelle valli intorno al capoluogo siciliano.

Un antico atto bilingue – trascritto in arabo e in latino – testimonia che, dal 1182, la masseria Disisa era possedimento della Diocesi di Monreale. L’Arcivescovado la diede, poi, in enfiteusi ad una famiglia dell’aristocrazia palermitana, stabilendo rigide regole di conduzione e autorizzando la coltivazione della vigna, espressamente vietata nelle altre masserie della zona. Con l’abolizione dei privilegi feudali, che mise fine all’esercizio del potere temporale da parte dell’autorità ecclesiastica, nel 1867 il Feudo Disisa fu acquistato dall’arciprete Nicolò Di Lorenzo.

Da allora la storia di queste terre è strettamente legata alla famiglia Di Lorenzo che, sin da subito, ha individuato l’autentica vocazione agricola dei suoi terroir, utilizzando le tecnologie più avanzate per trasformare gli originali pascoli in vigneti ed uliveti rigogliosi. Una storia che continua ancora oggi, grazie all’impegno della nostra famiglia che, con la stessa cura artigianale di un tempo, ha dato un volto nuovo a Feudo Disisa.

LA LEGGENDA: LU BANCU DI DISISA, TRA LEGGENDA E REALTÀ

La fertilità di questi terroir, nota fin dall’antichità, ha alimentato anche la fantasia popolare, dando origine ad una leggenda sull’esistenza di un tesoro noto come “Lu Bancu di Disisa”. Salvatore Salomone Marino e Giuseppe Pitrè, fanno menzione di questa leggenda nelle loro innumerevoli opere.

Lu Bancu di Disisa è un tisoru chi si trova ‘nta li grutti di lu feu di Disisa. Cuntanu l’antichi ca c’è un gran massenti di dinari di munita d’oru e d’argentu, e cu’ è chi li pigghia ‘un trova cchiù la porta nèsciri. Ora certuni vulennu pruvari si putevanu nèsciri, s’hannu pigghiatu ‘na munita d’oru e ‘un hannu pututu nèsciri. E s’hannu pigghiatu in capricciu di fari agghiuttiri òn cani ‘na munita di chisti dintra ‘na muddica di pani, e stu cani ‘un ha pututu nèsciri. E tannu ha nisciutu stu cani quannu ha jutu di corpu, ed ha jutu puru la munita. Pi sbancari stu gran Bancu di Disisa vonnu diri l’antichi ca cci voli tri Santi Turrisi di tri capi di regnu, di pò pigghiari ‘na jumenta bianca, ammazzalla e livàricci lu campanàru. Chistu si l’hannu a manciari a frittedda ddà rintra, di pò s’ammazzanu a li tri Santi Turrisi, e lu bancu si sbanca.

Il Banco di Disisa è un tesoro che si trova nella grotta del feudo di Disisa. Raccontano gli antichi che c’è una grande quantità di danari, monete d’oro e d’argento, e chi le prende non trova più la porta d’uscita. Ora alcuni, volendo provare se potevano uscire, hanno preso una moneta d’oro e non sono potuti uscire. Ed hanno preso in capriccio di far inghiottire ad un cane una moneta di queste, dentro una mollica di pane, e questo cane non è potuto uscire. Ed allora questo cane è uscito quando è andato di corpo ed ha espulso pure la moneta. Per sbancare questo gran Banco di Disisa, dicono gli antichi, che ci vogliono tre persone di nome Santi Torrisi di tre angoli del regno, dopo prendere una giumenta bianca, ammazzarla e togliergli le interiora. Queste se le devono mangiare a frittella là dentro, poi si ammazzano i tre Santi Torrisi ed il banco si sbanca.

LA LEGGENDA: LU BANCU DI DISISA, TRA LEGGENDA E REALTÀ

La fertilità di questi terroir, nota fin dall’antichità, ha alimentato anche la fantasia popolare, dando origine ad una leggenda sull’esistenza di un tesoro noto come “Lu Bancu di Disisa”. Salvatore Salomone Marino e Giuseppe Pitrè, fanno menzione di questa leggenda nelle loro innumerevoli opere.

Lu Bancu di Disisa è un tisoru chi si trova ‘nta li grutti di lu feu di Disisa. Cuntanu l’antichi ca c’è un gran massenti di dinari di munita d’oru e d’argentu, e cu’ è chi li pigghia ‘un trova cchiù la porta nèsciri. Ora certuni vulennu pruvari si putevanu nèsciri, s’hannu pigghiatu ‘na munita d’oru e ‘un hannu pututu nèsciri. E s’hannu pigghiatu in capricciu di fari agghiuttiri òn cani ‘na munita di chisti dintra ‘na muddica di pani, e stu cani ‘un ha pututu nèsciri. E tannu ha nisciutu stu cani quannu ha jatu di corpu, ed ha jutu puru la munita. Pi sbancari stu gran Bancu di Disisa vonnu diri l’antichi ca cci voli tri Santi Turrisi di tri capi di regnu, di pò pigghiari ‘na jumenta bianca, ammazzalla e livàricci lu campanàru. Chistu si l’hannu a manciari a frittedda ddà rintra, di pò s’ammazzanu a li tri Santi Turrisi, e lu bancu si sbanca.

Il Banco di Disisa è un tesoro che si trova nella grotta del feudo di Disisa. Raccontano gli antichi che c’è una grande quantità di danari, monete d’oro e d’argento, e chi le prende non trova più la porta d’uscita. Ora alcuni, volendo provare se potevano uscire, hanno preso una moneta d’oro e non sono potuti uscire. Ed hanno preso in capriccio di far inghiottire ad un cane una moneta di queste, dentro una mollica di pane, e questo cane non è potuto uscire. Ed allora questo cane è uscito quando è andato di corpo ed ha espulso pure la moneta. Per sbancare questo gran Banco di Disisa, dicono gli antichi, che ci vogliono tre persone di nome Santi Torrisi di tre angoli del regno, dopo prendere una giumenta bianca, ammazzarla e togliergli le interiora. Queste se le devono mangiare a frittella là dentro, poi si ammazzano i tre Santi Torrisi ed il banco si sbanca.